RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Processo G8 e depistaggi condannato De Gennaro

Genova, 18 giugno 2010

UN ANNO E 4 MESI AL CAPO DEI SERVIZI. FIDUCIA DAL GOVERNO, IMBARAZZO DEL PD
G8, De Gennaro condannato
Ribaltata a Genova la sentenza di primo grado: «Istigò a mentire»

Un anno e quattro mesi all’ex capo della polizia, e oggi coordinatore di tutti gli 007 italiani, Gianni De Gennaro. È la clamorosa sentenza d’appello, che ha completamente ribaltato quella di primo grado, con cui si è concluso il processo per “istigazione alla falsa testimonianza” al G8. De Gennaro, secondo i giudici, insieme all’ex capo della Digos Spartaco Mortola (condannato a sua volta) avrebbe convinto l’ex questore di Genova Francesco Colucci a cambiare la propria versione per depistare le indagini sull’irruzione della polizia alla scuola Diaz. Immediate le reazioni dei ministri Maroni e Alfano: «Stima per De Gennaro, aspettiamo la Cassazione». Imbarazzo nel Pd: molti esponenti di primo piano sono sempre stati vicini a De Gennaro.

IRRUZIONE ALLA DIAZ, RIBALTATO IN APPELLO IL VERDETTO PER L’EX CAPO DELLA POLIZIA
Processo G8 e depistaggi condannato De Gennaro
Il ministro Maroni: «Totale fiducia». Pena inflitta anche a Mortola

GRAZIANO CETARA e MATTEO INDICE

Gianni De Gennaro, quasi fiutasse l’aria come ogni buon investigatore dovrebbe fare, lascia il tribunale senza attendere la sentenza, quando la camera di consiglio della Corte di appello è appena cominciata. In un senso o nell’altro non era consigliabile restare. E lui non ha mai cercato i riflettori inquesti anni, sia quando proiettavano luci destinate alla celebrazione d’un successo, sia quando erano orientati a raccontare una sconfitta. De Gennaro forse era già in volo per Roma, ieri alle 14, mentre il giudice Maria Rosaria D’Angelo riscriveva l’ultimo capitolo della storia della polizia, legata in modo indissolubile ai fatti del G8 che si tenne a Genova nel 2001.
In primo grado l’excapo, ora al vertice dei servizi segreti, fu assolto dall’accusa di aver ispirato la falsa testimonianza dell’ex questore genovese Francesco Colucci al processo per la sanguinaria irruzione alla scuola Diaz, quartier generale dei no global. E con lui il dirigente della Digos Spartaco Mortola. Ieri De Gennaro e Mortola sono stati condannati, rispettivamente a un anno e 4 mesi il primo e a 14 mesi il secondo.
Fu quindi De Gennaro, che oggi incassa la «totale stima e fiducia» del ministro dell’Interno Roberto Maroni e del Guardasigilli Angelino Alfano («È innocente fino alla Cassazione ») a suggerire al questore Colucci come comportarsi alle udienze nelle quali doveva testimoniare. Fu lui a “dettare”, a ispirargli il voltafaccia che fruttò proprio a Colucci un avviso di garanzia. La richiesta del «capo» era di rimodellare la sua ricostruzione tagliando fuori, in sostanza, De Gennaro dalla gestione del raid. È il tassello che mancava, forse il principale.
Ora l’intera vicenda, che i giudici in primo grado avevano descritto assolvendo i massimi dirigenti delle forze dell’ordine coinvolti negli abusi nella caserma di Bolzaneto o nell’irruzione alla Diaz, nella fabbricazione delle false prove e nell’ideazione dei depistaggi a processi in corso può essere raccontata in modo diametralmente opposto. E solo l’attesa, necessaria, per le motivazioni prima e per la decisione della Cassazione poi, impedisce di usare fin
d’ora parole definitive. Sulla ricostruzione dei fatti gli appelli hanno completato il quadro, trasformando quasi tutte le assoluzioni in altrettante e durissime condanne.
Bolzaneto fu teatro di torture e violazioni dei diritti umani, senza precedenti nella storia italiana. La Diaz fu la scena d’un massacro che i vertici della polizia, tutti presenti all’azione, legittimarono e coprirono costruendo accuse e prove fasulle. Non solo. In aula, per salvare la faccia del numero uno Gianni De Gennaro, un questore fu invitato a smentirsi e a mentire. Se lo fece davvero lo dirà un altro processo, poiché Francesco Colucci che ha scelto la via ordinaria ed è in attesa di giudizio. Di certo alle sue spalle, secondo i giudici di Appello, si organizzò una sorta di complotto. L’obiettivo era far sì che le responsabilità per la sciagurata notte della Diaz ricadessero sempre e solo su due personaggi, che dalle indagini erano già usciti e non si potevano più incolpare.
Il prefetto Arnaldo La Barbera, ucciso da un tumore prima che le udienze entrassero nel vivo; l’ex vicario della questura bolognese Lorenzo Murgolo, prosciolto durante l’istruttoria e spesso definito (non si capisce a che titolo) quale «vero responsabile sul campo» dell’irruzione nella scuola.
C’è una linea comune, ai ribaltamenti in appello? Impossibile dire cosa sia avvenuto in camera di consiglio, anche perché nessuna corte ha già pubblicato le motivazioni della sua sentenza. Di certo in tutti i processi di secondo grado l’accusa si è presentata più forte e compatta che nel primo. Legittimata dalla presenza attiva del procuratore generale Luciano Di Noto, considerato il vero artefice, insieme ai pm Enrico Zucca (ora diventato sostituto procuratore generale) e Francesco Albini Cardona, delle varie condanne. Lo stesso sostegno non arrivò dai vertici della Procura ordinaria.
«Se sono state ribaltate le sentenze di primo grado è lecito pensare che non fossero giuste», è stato il primo commento di Zucca. I giudici, sia per De Gennaro che per i capi della polizia sull’affare Diaz, nelle motivazioni delle sentenze di primo grado avevano sostanzialmente avallato le ricostruzioni dell’accusa; ma non le avevano portate alle “estreme” conseguenze, assolvendo così «i generali», De Gennaro compreso. Il problema insistevano i pubblici ministeri nel presentare ricorso è stabilire se una personalità come quella dell’ex capo della polizia debba essere considerata al di sopra di ogni sospetto oppure no. E se la sua assoluzione debba arrivare solo in virtù dell’«integrità derivante dal ruolo istituzionale». Per la corte di appello di Genova, evidentemente, no.